Tutti ricordiamo la famosa frase del Gattopardo: “bisogna cambiare tutto perché non cambi nulla”. Molti l’avranno associata a questo periodo storico che stiamo vivendo e vogliamo lasciarci alle spalle. A dire il vero si sperava che il virus cha ha fermato il mondo, cambiato le nostre abitudini – per quanto? – e cancellato le nostre sicurezze, migliorasse i nostri comportamenti, specie i nostri caratteri ma a vedere cosa succede in giro, non ne sarei così convinto e l’affermazione, inesorabile, torna d’attualità.
Sembra proprio che non sia cambiato nulla e non è sempre cosa bella. Di sicuro vorrei, molto egoisticamente, che alcune cose nel mondo dell’enogastronomia si modificassero, vorrei che si tornasse alla cucina vera, agli chef che stanno in cucina, anche in sala ovviamente, ma che facciano i cuochi – qualcuno conosce ancora questo termine? – e smetterla con questo carnevale mediatico di fusion, gastro bistro etnico food che non si sa più se mangi piemontese rivisitato con l’accento di Pechino o giapponese con contaminazioni uzbeche del nord senza dimenticare la tradizione della nonna materna che dal suo paesello nella sperduta valle alpina cucinava sul potagè immaginando profumi di curry, ça va sans dire, preparati dai coloni inglesi al ritorno in patria e quindi con salsa alla menta alla moda di Birmingham. Basta, basta, voglio mangiare normale, voglio riprovare emozioni, voglio gustare e degustare senza fare il giro del mondo in 80 giorni nel mio piattino che non deve obbligatoriamente essere un concentrato di tutto quanto si prepara nell’Universo in pochi centimetri di ceramica dalle fogge e colori spesso improbabili. Torniamo alla sostanza, al cibo che non è rivisitazione, destrutturazione, simil a ma che ha storia, essenza e che piace al di là delle mode passeggere e fuorvianti.
Mercoledì scorso, dopo 5 anni che dovevo andarci, sono approdato a Ceres, all’albergo ristorante Valli di Lanzo. Già l’idea della vecchia locanda che sa di vicende vissute e che abbina il ristorante alle camere mi piace: ristourànt coun aubergi, come recita l’insegna.. La via centrale del paese lontano, anche se a meno di un’ora da Torino, il selciato, le casette in pietra, la fontanella che offre gelida acqua di sorgente già mi predispongono a un momento vero. E poi, sulla soglia dell’antico hôtel, la casacca d’ordinanza e un sorriso grande così, Francesco Eblovi mi accoglie come solo si fa con i vecchi amici e con quel piacere del ritrovarsi che scalda il cuore. Con la compagna Mara e il socio Samuele Riva, si sono trasferiti armi e bagagli in questo paese e la qualità della vita, delle loro vite si è impennata. Sala d’antan, tovagliato raffinato, calici pregiati, i francesi direbbero “l’auberge cossue revit pour notre plaisir”, “la solida dimora borghese rivive per il nostro solo piacere”. Difficile trovare una traduzione corretta a “cossu” questo termine che indica una sensazione, un’atmosfera, quella che vorresti trovar sempre varcando la soglia di locali che sono la memoria della nostra cucina e non solo. Tutto desta benessere e trasmette sicurezza e voglia di coccolare. Il menu riporta “l’art du bien vivre” e nulla potrebbe essere più azzeccato. Francesco è filo francese, glielo perdono, proprio perché anch’io che sono figlio di queste due Nazioni benedette dagli dei della buona tavola e delle cantine prestigiose.
Non mi soffermo sulla carta, sui menu (dai 25 ai 150 euro, con selezione di Champagne), sull’enciclopedica carta dei vini perché voglio che veniate sul posto, fare questa esperienza, assaggiare piatti veri, respirare questo mondo e godervi il posto. Gli asparagi di bosco col burro d’Isigny fuso, i bocconcini di peperoni ripieni, l’insalata di lingua e la blanquette, omaggio a Paul Bocuse. Sapori d’antan, emozioni e amicizia senza tempo. Quattro Champagne, un Caluso passito del 1974 e un Yquem del 2018 per sancire un rito che si rinnova da quando ci si ritrova per condividere il piacere dello stare insieme e suggellare la buona tavola. Un bel segnale di quello che dovrebbe essere il futuro della ristorazione, il ritorno al passato, ai suoi valori, non fossilizzandosi perché non si possono negare i tempi moderni ma senza stravolgere e creare, innovare per il solo piacere di fare parlare senza sapere fare. Professionalità e convivialità vanno a braccetto, mai come qui a Ceres.
Scriverò presto soffermandomi sui piatti, i vini e gli Champagne che sono il sangue dei nostri ospiti, tanto da essere “partenaire Drappier” et “ambassadeur Collet”.
E come diceva Peppino a Totò: “e con questo ho detto tutto!”. Merci mes amis!
Valli di Lanzo
Via Roma 11 - Ceres (To)
Tel: +39 0123 53 180
https://www.ristorantevallidilanzo.eu/ - info@ristorantevallidilanzo.eu
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