Da anni seguo la vitivinicoltura della provincia di Torino, non sempre scontata ma dalle radicate tradizioni, e quindi conosco bene anche i vigneti del Pinerolese. Pur sapendo che anche gli ulivi ormai avevano trovato casa su quel territorio non avevo ancora avuto l’occasione di approfondire l’argomento.
Può sembrare strano parlare di ulivi in Piemonte ma in fondo per un agronomo non dovrebbe essere così: difatti l’areale, ossia l’habitat, la zona di coltivazione e sviluppo dell’olea europea – nome scientifico dell’ulivo – è simile a quello della vite. Quindi, la nostra regione ha i giusti requisiti e poi basterebbe risalire al nome di molti comuni per capire che già in passato eravamo produttori d’olio di oliva. Potrei anche aggiungere che la storia della bagna caoda è sicuramente legata alle Vie del Sale, ma si poteva ottenere anche con oli nostrani, di noci ma sicuramente anche di oliva. Il Piemonte pullula di testimonianze di frantoi e uliveti nei secoli passati.
Giovedì scorso, il tempo era di quelli da invitare a stare a casa ma avevo combinato l’appuntamento, più volte rimandato, col giovanissimo Giovanni Maria Bocchino, e il diluvio, il cielo nero, il grigiore dominante che si confondeva con quello delle foglie degli ulivi, aggiungevano suggestione a un paesaggio che sembrava sorgere da un dipinto. Fra pochi giorni la laurea in giurisprudenza e il venticinquenne olivicoltore e produttore d’olio, con una arringa degna di blasonati principi del foro ha perorato la sua causa, condivisa con i fratelli Alberto ed Enrico, commercialisti, anch’essi dediti, quando necessita al piccolo podere dove è scattata la scintilla. Siamo nel comune di Pinerolo, a poche centinaia di metri al centro e nel contempo siamo immersi in piena campagna.
Un vecchio ulivo, pluricentenario, sicuramente di sconosciuta varietà autoctona ha colpito il quasi avvocato che nel giro di pochi anni ha piantato varietà quali leccina, frantoio, pendolino ma anche picholine per una spennellata di Francia. Un migliaio di piante oggi, tutte su terreni esposti a sud, dai 2000 ai 3000 litri prodotti annualmente con l’intenzione di crescere e una cura maniacale che si verifica nei minimi dettagli: bottiglie serigrafate – così non si sporca l’etichetta versando -, rigorosamente da 0,25 l - così si usa rapidamente e non si deteriore il contenuto - prodotte in Germania, impianto di imbottigliamento con argon, etichetta allacciata al collo con indicazione del mappale e indicazioni “leggibili” anche ai non vedenti.
Tre cru: antiquo, anima e opera. Assaggiamo il primo e immediatamente l’impressione olfattiva è di pulizia, oliva fresca, erbaceo leggero e in bocca il vellutato domina con un equilibrio raramente riscontrato, bassissima acidità (0,24) e l’amaro impercettibile a completare un quadro che ci porta nel gotha dell’extra vergine, il tutto in una regione con la vocazione, oggi, tutta da ridisegnare. I prezzi, come la qualità, sono elitari ma la grande soddisfazione di Giovanni Maria è potere annoverare, tra i suoi clienti, alcuni ristoranti blasonati, anche ma non unicamente del Pinerolese, che capiscono che la spremuta a freddo di non è solo un condimento ma come il vino è cultura. Mi auguro, a breve, di potere vedere aumentare i locali che propongono una carta degli olii. Sicuramente un posto dovrà essere fatto alle produzioni di Santa Caterina che confinano con … Monte Oliveto. Come ricordavo poche righe più su la storia dell’olivicoltura piemontese risale alla notte dei tempi e deve essere riletta, anche grazie a giovani e volenterose forze, vissuta e tramandata.
Manterrò a breve, la promessa di tornare in loco col bel tempo e godere del panorama che abbraccia la città di Pinerolo, la rocca di Cavour e il Monviso che, da lontano, sovrasta il tutto ma che era nascosto dalla coltre piovosa che oscurava cotanta bellezza.
Azienda Agricola Santa Caterina
Strada Santa Caterina, 10 – Pinerolo
Tel: +39 331 49 50 697
https://www.aziendasantacaterina.it/ - info@aziendasantacaterina.it
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