Ho conosciuto Alessandro Uccheddu un po’ meno di tre anni fa in una calda serata d’estate a Porta Palazzo ed è subito nata un’amicizia, di quelle belle, tra persone che si capiscono senza bisogno di tante parole anche perché condividono la stessa passione, quella del cibo, delle cose buone fatte bene. Quando penso che qualcuno vede il critico gastronomico come il nemico, la bestia nera dei cuochi… Ma scherziamo? Ovviamente lo crede colui che non sa niente del nostro ambiente, perché in effetti siamo due pedine, distinte ma complementari di un mondo che solo con la collaborazione e l’integrazione può essere veramente grande. Forse ho anche usato un termine che non si usa più: critico, vero che oggi sono tutti esperti ma critici poco. Meglio seguire il filone, i pecoroni amano tutto quello che viene proposto e sposano il giudizio globale anche perché avere un parere personale presuppone avere le conoscenze per farlo. Ecco, io sono un critico, vero? Mi sa proprio che lo sono dentro e non perdo occasione di dimostrarlo.
Torniamo al mio omonimo di origini cagliaritane che con la sua pacatezza, conquista. Timido, sorridente, mai una parola di troppo, efficiente e concreto. Dopo il primo incontro, l’ho seguito nel suo peregrinare cittadino fino all’approdo alle cucine di Marcello Trentini. Il “mago” non poteva non avere un alter ego col quale condividere le sue ammalianti esperienze o come ho scritto in questo stesso blog (atti di infinità golosità, febbraio 2020), il direttore d’orchestra deve avere un grande primo violino. E poi, in questi ultimi due anni travagliati che hanno annullato tutte le nostre certezze e sovvertito l’ordine stabilito, tutto cambia e arriva la sistemazione attuale da Combo. L’ex caserma dei Vigili del Fuoco diventa il locale multitasking che tutti conosciamo ma con l’aggiunta, non sempre scontata e alla luce del giorno, di una cucina di quelle che dovrebbero apparire e che potrebbe essere il fulcro dell’ostello-lounge-caffetteria e che chi più ne ha più ne metta.
L’ambiente è quanto di meno torinese ci possa essere, anche se negli ultimi anni ci stiamo abituando alle ristrutturazioni di architettura post industriale convertite in luoghi di cibo. Ampio (di questi tempi non spiace), moderno, giovane, sicuramente modaiolo, lo spazio accoglie solo apparentemente senza criterio: in fondo zona bar, ristorante e incontri dove consumare aperitivi non sono delimitate concretamene ma lo sono virtualmente e le varie offerte si affiancano senza ostacolarsi e, cosa non indifferente, nonostante ci sia molta gente, senza quel rumore, quel vociare fastidioso che ti impedisce di parlare al tavolo.
Alessandro ha preparato una giostra di assaggi che spazia dalla carta attuale - ottimi la Tatin di cipolle caramellate e il cestino di frolla con ricotta e verdurine all’agro - a quella futura, dai grandi classici all’inventiva, dal suo DNA sardo al territorio d’adozione sabaudo che marca la cena sin dal cocktail con China Martini e vermouth. Molto personali e dall’ottima esecuzione i primi con lo spaghetto al fegato di rana pescatrice che convince e merita il premio di migliore piatto della serata. Veramente originale e ottimo. Si sentono la mano sicura e i sapori intensi ma non invadenti. E poi c’è la sintonia con Beppe Gallina - praticamente vicino di casa - che fornisce materie prime ittiche ineccepibili. Squisiti anche il filetto di baccalà e l’agnello con crema di zucca fermentata. Piatti apparentemente semplici ma dove la tecnica, la gestione delle cotture fa la differenza. Non avevo grossi dubbi, Alessandro Uccheddu c’è, eccome che c’è e la sua cucina è a sua immagine, attualmente sussurrata, quasi confidenziale anche se meriterebbe le luci della ribalta e l’attenzione dei Torinesi che non sanno ancora che il palazzone di corso Regina dove da bambino, il 2 giugno, andavo a sognare con le sfavillanti autopompe e autoscale dei pompieri, ospita oggi un grande cuoco.
Combo
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