La Borgogna è la più piemontese delle regioni vitivinicole francesi o il Piemonte è la zona più vicina alla Borgogna dal punto di vista enologico? Di sicuro, in entrambe, la tradizione vede la vinificazione di vitigni in purezza. Come sempre emergono le differenze storiche e la Francia, nazione unita e unica da tempi immemorabili, nelle terre già governate dai Duchi di Borgogna, vede dominare, quasi da sovrani assoluti il Pinot nero e lo Chardonnay mentre da noi, numerosi sono i vitigni che marcano la nostra grande, ineguagliabile regione.
Apparentemente omogenea, con due sole uve, una bianca e una nera a caratterizzare la produzione della regione francese, in effetti la realtà è molto diversa. Estesa in latitudine, con le sue numerose appellations, alcune tra le più celebri al mondo - ecco un altro punto in comune con la nostra Regione - la Borgogna offre una diversificazione che potremmo definire: assolutamente incredibile. Climats, lieux dits, crus, clos et domaines, zone, sottozone, poderi, cantine che nel giro di pochi acri, metri, composizioni del terreno o differenze climatiche possono significare abissi sensoriali nel colore, nella charpente - struttura -, e distinguere anche in modo eclatante la degustazione dei nettari prodotti. Credo di potere affermare senza rischiare di essere contraddetto che una vita intera non basta a conoscere le tante nuances di una terra così complessa nella sua omogeneità. In tre incontri on line, organizzati da ASPI (Associazione Sommellerie Professionale Italiana) imperniati su tre Aoc bianche, Davide Canina, sommelier di comprovata esperienza, direttore dei corsi della suddetta associazione per il Monferrato e Mauro Mattei, sommelier anche lui e wine manager di Terroirs Distribuzione ci hanno accompagnato, prendendoci per mano e soprattutto per i sensi, portandoci di podere in podere, scoprendo le più infime sottigliezze caratterizzanti tre denominazioni - non solo le più scontate - che meglio di qualsiasi ambasciatore hanno bussato ai nostri schermi, invitandoci a recarci in loco per vivere una regione che non può che ammaliare.
Chablis, Pernand Vergelesses e Pouilly Fuissé, tre AOC, tre interpretazioni dello Chardonnay, tre famiglie - Picq, Dubreuil Fontaine et Vincent -, tre modi di scrivere l’eccellenza perché oltre al vitigno il denominatore comune di queste lezioni è stato il livello di assoluta qualità, con analisi sensoriali che ci portavano in quell’aurea che ti fa capire cosa significa la vitivinicoltura d’autore dove nulla è lasciato al caso e la convergenza tra il vitigno, il clima - e anche il climat in questo caso - il lavoro in vite, la vinificazione, l’élevage - quanto mi piace questo termine che non comprende solo l’affinamento - e la storia che sta alle spalle di questi primi attori, produca etichette che coinvolgono e trascinano il singolo assaggiatore nel gotha del vino.
Lo faccio raramente, proprio perché non mi è data spesso l’occasione di farlo ma vorrei spendere anche qualche parola su coloro che hanno condotto questi incontri, Davide e Mauro, preparati ma mai leziosi, rigoroso e didattico il primo, scrupoloso ma guascone il secondo, fini conoscitori del territorio in ogni sua sfaccettatura, quella competenza che fa bene al mondo del vino, della gastronomia che negli ultimi anni vive di venditori di fumo, di divulgatori che sposano una moda senza conoscere l’essenza. Grazie per le belle pagine che avete narrato su queste tre sottozone della Borgogna, su queste declinazioni del Chardonnay che insieme a tutte le altre compongono la storia di un’uva che firma grandi bianchi tranquilli e spumantizzati nel mondo e che solo la mia vicinanza ai nettari del nostro Piemonte e della nostra Penisola mi impedisce di scrivere “i più famosi al mondo”.
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