Nei giorni che precedono la Santa Pasqua, morte e resurrezione, giocoforza, sono le tematiche più ricorrenti. Il periodo dell’anno in cui i cristiani vivono il mistero della Fede in modo più forte, complesso, intrigante, celato, imperscrutabile e il limite tra vita e trapasso è sempre più flebile, mai scontato, ineluttabile, forse logico, non sempre facilmente accettabile.
La musica, linguaggio universale, espressione dell’anima e di ogni momento dell’esistenza, sacra e profana, pervade, accompagna, allieta, consacra e solennizza. Quella con la M maiuscola è d’uopo e l’esecuzione del Requiem per antonomasia, la Messa di Requiem K 626 per Soli, Coro e Orchestra di Wolfgang Amadeus Mozart, da sempre fonte di interrogativi e ammirazione, una logica conseguenza del tempo di riflessione che, per chi crede, impone la Quaresima. La controversa vicenda delle condizioni di salute e morte dell’autore, si dice avvenuta il giorno successivo al completamento delle parti vocali del Lacrimosa, il committente - sconosciuto o no -, le parti completate da uno o più allievi del Maestro, tante circostanze che creano un’attenzione inconsueta intorno all’Opera che diventa leggenda. Segreti, dubbi, lati scuri, molti interrogativi alimentati dai posteri e che contribuiscono all’alone di arcane fantasie cresciute intorno al mistero per antonomasia, quello della Morte cui Mozart, impregnato di cultura esoterica, non poteva non rimanere indifferente. Aggiungiamo la solennità, la bellezza, la grandezza della composizione e il risultato non può che affascinare, invitare alla partecipazione, all’ascolto.
E martedì 20 marzo scorso, lo scenario si arricchiva della componente benefica, la solidarietà, nello specifico per aiutare i piccoli malati dell’Ospedale Infantile torinese attraverso Io sto con il Regina Margherita Onlus - Comitato per lo Sviluppo dell’Ospedale Infantile di Torino -. Alle 21 il Duomo di Torino era gremito, come forse mai lo si era visto per un concerto. Sin dalle 20.30, all’apertura del portone, una folla conserta, silenziosa, aveva invaso quella che fu la cappella dei Savoia e preso posto, seduta, in piedi, riempendo ogni spazio, appoggiandosi a ogni colonna, per portare il proprio contributo e assistere, godere del piacere di una unione di intenti per fare del bene e farlo nel modo migliore, provando e regalando emozioni. Il Coro dell’Accademia Corale Stefano Tempia, la Corale Roberto Goitre con il Maestro del Coro Corrado Margutti, l’Orchestra OFC diretta dal Maestro Francesco Cavaliere, i solisti: Alexandra Zabala, Sabrina Pecchenino, Alejandro Escobar e Desaret Lika, tutti insieme per donare un sorriso.
Il Regina Coeli K 276 rompe gli indugi e l’antifona in onore della Vergine Maria, non tra le opere più conosciute del compositore salisburghese, dà il la e armonizza le tante componenti orchestrali che si incontrano, affiatano e completano, il tempo di una serata non comune.
E poi la bacchetta di Francesco Cavaliere si impone e attacca col Requiem Aeternam, in un crescendo che condurrà ai portentosi Dies Irae, Confutatis e al sublime Lacrimosa. Sin dalle prime note, emerge la sacralità e l’orchestra restituisce quella commistione di misticismo e laicismo, trasposizione dell’essenza mozartiana che la composizione esprime, rendendo questa messa funebre, unica. Forse proprio perché Mozart non la intendeva come tale, una probabile scommessa con la Morte stessa, una sfida oppure un inno, un’esaltazione dove il coro domina, la morte è del popolo, degli esseri umani e dove le varie firme della stesura, ottengono spazio ma creano un tutt’uno che trova il suo perché non tanto in una granitica essenza compositiva ma nell’unità corale. Infatti è il coro a farla da protagonista mentre i solisti sono utilizzati per sottolineare i titoli del testo liturgico. In fondo alla fine del nostro percorso terreno, siamo noi soli davanti al Creatore. L’uomo di fronte a Dio. Illuminista, assertore della fratellanza universale e nel contempo vicino alla religione, una fede poliedrica che solo gli spartiti potevano restituire.
E il direttore di fronte a orchestrali, cori e solisti, crea quell’unità che dopo Mozart si è cercato di dare anche a questa imponente partitura che non può lasciare indifferenti, nemmeno coloro che si sentono lontani dalla musica classica, sacra in primis. La venerabilità di questo Requiem sta probabilmente proprio nell’essere percepito, ascoltabile e comprensibile da tutti perché come Totò nella sua poesia “’a livella” ci riporta tutti all’inesorabile fine, con quella delicatezza, leggerezza che accomuna l’opera omnia di quello che era stato l’enfant prodige del XVIII° secolo.